perché affermiamo ciò che non è permesso, il diritto allo studio, alla socialità, alla cittadinanza per tutti i migranti, indipendentemente dal possesso del permesso di soggiorno. Questo blog raccoglie le informazioni sulle scuole del territorio milanese: indirizzi, orari delle lezioni, attività, eventi e incontri, i materiali didattici e altri prodotti, dibattiti, immagini in una continua messa a disposizione di risorse differenti e complementari.

martedì, marzo 23, 2010 - Accadde oggi:

ORDINARIA INGIUSTIZIA

Sabato 27 febbraio, decido di accompagnare un mio amico in Piazza Venino, vicino a Papiniano, a Milano, al suo secondo appuntamento all’Ufficio Immigrazione, per gli accertamenti prima della consegna finale del Permesso di Soggiorno come colf, lungo iter iniziato nel mese di settembre 2009.

La convocazione è alle 9.00 di mattina. Arriviamo alle 8.50, e la porta laterale dalla quale fanno entrare i quasi-regolari stranieri è ancora chiusa. Porticina in un angolo, lontana dalla porta principale del commissariato di Polizia corrispondente.

La gente aspetta fuori, nessuna sala d’attesa interna, nessuna segreteria cui chiedere. Solo un foglio appeso alla porta che dice che il sabato si apre alle 9, poi alle 9.30, 10.00 e così via.

Alle 9.05 la porta si apre. La gente presenta il foglio di convocazione ed entra. Noi accompagnatori dobbiamo aspettare fuori, dentro ci dicono che non c’è abbastanza spazio.
Finito di fare entrare le circa 20 persone presenti, la porta si richiude, alle 9.10.

Poco dopo, tra le 9.10 e le 9.15, arriva una signora con una bambina, una ragazza, un signore con tutta la famiglia, un ragazzo, due ragazze, tutti con la convocazione alle 9.00.
Alcuni vanno a chiedere dietro l’angolo al Commissariato, ma la risposta è da subito vaga, incentrata sul fatto che loro sono arrivati tardi.
Per scrupolo anche io vado a chiedere, per capire cosa devono fare tutte quelle persone, ormai arrivate ad essere circa 10.

Entro al Commissariato di Polizia e mi dicono che la porta riaprirà alle 9.30, forse. “Forse?”, penso io, “Cosa vuol dire forse? Da cosa dipende?”. Decido di riuscire e aspettare fino alle 9.30.
Alle 9.40 siamo ancora tutti davanti alla stessa porta chiusa e niente si muove.
Decido di andare di nuovo a chiedere. Entro ancora al Commissariato. Sta entrando anche un’altra ragazza per avere informazioni, lei mi dice che è la terza volta che viene convocata senza risultato in quel Commissariato.

Parlo con lo stesso poliziotto di prima chiedendo spiegazioni e lui mi dice: “Non decido io; e poi chi è rimasto fuori è perché è arrivato in ritardo. Deve tornare lunedì, o sabato prossimo”. Io gli faccio notare che la gente è arrivata tra le 9.10 e le 9.15, e che non mi sembra un grande ritardo. Gli faccio anche notare che mi aveva detto che avrebbero riaperto alle 9.30, e sono ormai le 9.45. Lui continua: “E guardi che se apriamo alle 9.30 è per fare un favore”. Io e la ragazza al mio fianco gli facciamo notare che sulla porta c’è scritto che l’apertura è ogni mezz’ora. Insiste: “Non dipende da me, se volete chiamo il mio superiore”. “Certo, lo chiami, vorrei parlare con lui, grazie”. Lo chiama al telefono, gli spiega la situazione. “Riapriremo alle 10.30, se ci sarà la possibilità”, afferma.

A quel punto alzo un po’ la voce. “Mi sta prendendo in giro. Cosa vuol dire se ci sarà la possibilità. E perché alle 10.30? Ma non era alle 9.30”. A quel punto mi chiede chi sono, e con chi sono lì. “Passavo per caso e mi sono interessata della situazione”, gli rispondo vaga io per non mettere in pericolo il mio amico. Mi chiede un documento. Glielo do e mi dice di accomodarmi nella sala d’attesa. “Ah, c’è la sala d’attesa. Allora perché la gente deve aspettare fuori, in strada?” gli ribatto io. “E’ la sala d’attesa per le denunce” risponde lui. Sarà.

A quel punto, sentendo le voci un po’ alte, si avvicina a me un altro poliziotto uscito da un ufficio, e mi chiede di seguirlo per spiegargli la situazione. Lo seguo nel suo ufficio, e gli faccio presente il modo vago, poco serio e poco professionale con cui si sta svolgendo il lavoro in quel Commissariato.

La gente costretta ad aspettare fuori, rimandata a casa per 10 minuti di ritardo, perdendo tempo e magari un’intera giornata di lavoro, senza spiegazioni, senza informazioni chiare e precise. “Non è il modo di lavorare né di trattare la gente”, gli dico io.

Casualmente, dopo questa chiacchierata, la ragazza che era al mio fianco viene subito fatta entrare. Il poliziotto mi conferma inoltre che la gente che aspetta fuori sarà fatta entrare al più presto.
Lo ringrazio, ritorno all’ingresso dove il primo poliziotto mi rida il documento. “Grazie, molto gentile”, dico io.

Esco e aspetto per vedere se effettivamente la gente viene fatta entrare.
Dopo qualche minuto arriva in effetti la persona che aveva aperto la porta alle 9.00.
Arrabbiata, dice che non si deve arrivare in ritardo agli appuntamenti, che bisogna rispettare le regole. A malincuore fa entrare la gente,

Io, schifata ma soddisfatta, me ne vado. Chiamo subito il mio amico dicendogli, se per caso dovessero chiedere, di non dire che mi conosce.

Inutile dire che tutte le persone in attesa fuori dalla porta fantasma erano straniere, in attesa del permesso di soggiorno.

Inutile dire che io ero l’unica italiana, l’unica che in quella situazione poteva permettersi di alzare la voce per far valere i propri e gli altrui diritti, senza rischiare di vedersi revocato il permesso di soggiorno.

Inutile far notare come i diritti in Italia non siano uguali per tutti.

Valentina CRESPI - Associazione "SAMARCANDA"